Sul Design dell'arredo urbano di Napoli

Leonia è la città linda che ogni giorno rifiorisce sulle immondizie del giorno precedente, circondata da una corona di spazzatura che giorno per giorno si amplia. Leonia brilla come solo le cose nuove fanno. Cloe è la città nella quale le persone non si conoscono, non si salutano mai, ma dove tutti immaginano mille vite negli sguardi che incrociano. Queste alcune delle città che Calvino immagina raccontate da Marco Polo a Kublai Khan, imperatore d'Oriente. Sono descrizioni che narrano della particolarità degli abitanti o delle caratteristiche fisiche delle città incontrate. Calvino esplora, analizzandole separatamente, le tante sfaccettature che, tutte assieme, costruiscono l’immagine di una città. Questa operazione consente di riflettere sui singoli aspetti di una polis che è spesso caos, sovrapposizione. L’idea di metropoli si costruisce quindi per frammenti che, composti negli anni, realizzano l’ologramma virtuale dello spazio vissuto. Si sommano e si sedimentano “frame” diversi, paesaggistici e di vivibilità, di dettaglio e di costume, che, assieme, si ricompongono in un tutto che è l’idea di città. Questa idea di città è poi diversa da individuo a individuo, i differenti filtri culturali definiscono nella mente dei singoli immagini diverse. Quello che per alcuni è pittoresco e interessante per altri diventa insopportabile. Ma alcuni aspetti rappresentano, per la maggioranza degli individui, elementi di qualità urbana. Su questi elementi gli amministratori di una città dovrebbero concentrarsi. La pulizia, la sicurezza urbana, il verde come forse il decoro degli spazi comuni, contribuiscono a definire nella “mente della collettività” quella qualità complessiva alla quale ambire.

Sarebbe in questo senso corretto che le amministrazioni, che si susseguono nella gestione della cosa pubblica napoletana, prestino la stessa attenzione alla microcriminalità e alla pulizia delle strade, alle scelte di macrourbanistica e di sviluppo, agli eventi culturali da proporre o alle scelte degli elementi di arredo urbano. E’ il controllo di tutte queste variabili che riuscirebbe, nel tempo, a modificare l’idea della Polis che i cittadini e i visitatori hanno di Napoli, consentendoci di evolvere dallo stereotipo di città bella (da lontano), simpatica ma pericolosa e sporca, a capitale cosmopolita, mediterranea, intrisa di storia da vivere e da visitare. Ma a Napoli tutti i problemi diventano enormi, la criminalità, la disoccupazione, i rifiuti hanno necessità di strategie a lunghissimo termine e spesso gli enti locali non hanno oggettivamente le risorse per risolvere queste problematiche. Se l’immagine di una città si costruisce per frammenti si potrebbe cominciare a lavorare sugli aspetti controllabili, sui quali è possibile intervenire con un piccolo sforzo, con coerenza e capacità progettuale: il decoro urbano, il design degli elementi di arredo pubblico contribuiscono, come gli altri aspetti, a migliorare l’idea di città. Se risulta oggettivamente complesso agire a breve per le altre problematiche almeno per questi aspetti si potrebbe operare in modo da far comprende alla collettività che esiste una volontà, una regia, che lavora per migliorare la qualità complessiva della città.
E’ noto però che Napoli è una città unica, capace sempre di meravigliare e quindi anche nella scelta degli elementi di arredo urbani ha preferito seguire un percorso particolare. Invece di affidare ad una colta regia la selezione ed il coordinamento di un progetto unitario e coerente, si è preferito perseguire la strada del caso e dell’eclettismo di forme, riempiendo le strade della città di un campionario delle infinite soluzioni possibili. Si è così realizzato, primo in Europa, un museo all’aperto degli elementi di design urbano che spazia dalle copie in stile di elementi ottocenteschi a futuribili soluzioni Mendiniane. Ciò contribuisce ad aumentare il caos della città, disorienta i cittadini che, ancora una volta, comprendono che non esiste alcun progetto urbano, che non esiste alcuna regia. Anche per l’arredo urbano tutto è affidato all’approssimazione ed all’emergenza. E’ chiaro che aree diverse della città debbano avere soluzioni architettoniche diverse, funzione della storia e delle stratificazioni che le hanno interessate, ma analizzando quanto realizzato negli anni scorsi non sembra che ci sia stata alcuna scelta se non quella di affidare tutto al caso. Alcuni esempi diventano emblematici di questa poetica dell’approssimazione: in prima istanza le soluzioni “in stile” nelle quali è stata privilegiata la copia dell’antico, la riproposizione del passato.

Via Tasso: è stata sostituita l’illuminazione pubblica, in questo caso lo “stratega” delle scelte urbane ha preferito la soluzione dell’anastilosi facendo riprodurre i pali ottocenteschi con elementi nuovi, identici ai preesistenti a meno del fascio littorio, posto sul basamento, opportunamente sostituito dal simbolo dell’Amministrazione comunale. Qualche perplessità un intervento di questo tipo la suscita. Nonostante infiniti dibattiti sul restauro, sull’architettura classica, moderna e post-moderna non si è giunti a conclusioni univoche, stili e soluzioni si contrappongono senza trovare soluzioni. Un solo ragionamento accomuna tutte le  correnti di pensiero: riproporre pedissequamente il passato è inutile e decadente. Errori di questo tipo sono espressione dell’impossibilità di un progettista, e della committenza che nel suo agire rappresenta, di  vivere il proprio tempo.

Darsena Acton e molo Beverello: anche qui è prevalso il gusto per l’antico, la cancellata esistente che delimitava il molo è stata sostituita da un muretto sormontato da esili pali culminanti i una lanterna che richiama le illuminazioni a gas della fine del diciannovesimo secolo. Il preesistente sistema di pensiline e pedane moderne, progettato da uno dei maggiori architetti italiani, è stato sostituito da una gradonata in piperno decorata con fioriere di gusto classico e lampioncini in finta fusione di bronzo, sempre di gusto ottocentesco. Anche i dissuasori e i cestini per i rifiuti sono in stile, completi di “pigna” metallica e decoro pseudo liberty.

Piazza Municipio e slargo di via Medina: anche qui lampioni in stile ottocentesco a due o tre bracci completi di decori floreali, panchine e fioriere falso ottocentesche.

Piazza Salvo D’Acquisto, via Toledo: qui il gusto per l’antico si è limitato alla scelta delle fioriere, delle panchine e dei cestini (solo quelli fissi) dove impera sempre la finta fusione ottocentesca. Stranamente i corpi illuminanti sono invece di disegno contemporaneo, analoghi a quelli posizionati in via Santa Lucia. 

Ora un accenno agli allestimenti nei quali probabilmente lo stesso misterioso personaggio, ha continuato ad affidarsi al caso, preferendo soluzioni contemporanee. In prima istanza la sistemazione della Villa Comunale per la quale qualche anno fa l’amministrazione comunale, rilevata l’esigenza di delimitare lo spazio con un cancellata, chiama senza ricorrere ad alcun concorso l’architetto Mendini  che progetta un sistema di recinzione e di illuminazione pubblica di stampo contemporaneo: una serie di pali dorati a sezione ovoidale regge una cancellata nera in tondini di ferro a disegno floreale. Questa soluzione si confronta a pochi metri di distanza, sullo stesso tratto di lungomare con alcuni pali di illuminazione pubblica di disegno ottocentesco. Completano il tutto alcuni chalet di fiabesco disegno rivestiti di mattonelle in pasta vetrosa a colori sgargianti. Anche in questo caso il tutto si confronta a pochi metri con l’architettura ottocentesca dell’acquario e della cassa armonica.

Per la sistemazione delle stazioni della metropolitana vengono coinvolti altri professionisti e professori universitari più o meno noti che, sempre per chiamata diretta senza alcun concorso, progettano architetture contemporanee tra le quali spicca, per originalità degli elementi di arredo urbano, quella di Salvator Rosa nella quale i dissuasori sui marciapiedi hanno una bizzarra forma che ricorda un particolare tipo di pasta fatta in casa.

Diverso il caso della stazione della funicolare di Chiaia per la quale si è preferito chiamare un altro docente universitario che  invece ammicca alle ricostruzioni in stile. Nel nodo di scambio di piazza Vanvitelli, percorrendo il tunnel di collegamento fra la funicolare e la stazione della metro, si passa dal neofloereale  della prima al minimalismo contemporaneo della seconda.
Ancora diverso è il caso  delle seicentocinquanta pensiline per l’attesa dei mezzi pubblici realizzate con una copertura ad onda in acciaio inossidabile e perimetrazioni verticali in vetro con panchina in lamiera di ferro microforata. Questi manufatti sono distribuiti in tutta la città e di volta in volta si fronteggiano con il campionario di soluzioni appena descritte.
Stessa logica di distribuzione su tutto il territorio per i numerosissimi supporti per la pubblicità realizzati in due modelli: il primo a pannelli verticali retroilluminati con colonne laterali a sezione piramidale sormontate da un sfera, i secondi interamente cilindrici con panchina sottostante realizzata con conglomerato cementizio a graniglia, che richiama il marmo rosso Verona, e cappello superiore con l’indicazione dei punti cardinali e dei principali elementi della città, il tutto sormontato da una semisfera in plexiglas bianca che in alcuni elementi si illumina di azzurro.
Lo stesso approccio si rileva anche nell’emergenza di qualche tempo fa quando, con un po' di vento, sono venuti giù alcuni lampioni dell'illuminazione pubblica. Uno di questi, nel lungomare della città, ha ucciso una giovane mamma. La città dell'approssimazione si indigna, si mette a lutto e poi sostituisce i pali. Ma siccome è la città del "pezzotto" non li cambia tutti. Affida a chi sa quale regista del caos la sostituzione del novanta per cento dei pali del lungomare, coltivando una volta di più la cultura dell'"arronzare".La città ha infatti dovuto inventare delle parole che si utilizzano solo al suo interno per descrivere questa passione, tutta sua, per l'approssimazione, il caos e la sciatteria. Ora sul lungomare della città si alternano in modo casuale i vecchi pali arcuati , verniciati di verde nel primo tratto e bianchi nel secondo, con i nuovi verticali, solo zincati e più corti. Una fiera dell'approssimazione e del cattivo gusto.  Qualcuno dirà che è una soluzione provvisoria dettata dalla necessità di non privare della pubblica illuminazione il lungomare della città e che a breve si darà decorosa sistemazione all'arredo urbano del tratto. Ma forse pochi ricordano che sulla stessa strada, alla rotonda Diaz, nei primi mesi del 2005, fu realizzato un intervento provvisorio per eliminare il pericolo di altri due pali per bandiere che stavano per cadere. L'intervento consisteva nel tagliare in malo modo, a circa due metri da terra, le vecchie aste metalliche per infilare nei tronconi delle stesse, in un letto di cemento malamente colante,  due pali più piccoli. Dopo due anni l'intervento provvisorio è ancora lì a simboleggiare che la scelta provvisoria ed approssimata è divenuta definitiva.

Accanto alle realizzazioni descritte esistono poi un’altra serie di elementi di arredo urbano distribuiti in città in maniera puntiforme, prodotto anch’essi dalle infinite emergenze che vive Napoli. Questi prodotti completando il campionario di soluzioni possibili ed aumentano la confusione formale che impera in città. Non si deve infatti dimenticare che, accanto agli elementi di nuova collocazione, sono presenti gli elementi di arredo preesistenti mai rimossi, quali dissuasori a palo di disegno molto semplice spesso con vernice scrostata e deformati dall’urto di un’automobile, cestini per i rifiuti a cestello semimobili posizionati dalla società per la raccolta dei rifiuti, cassonetti per la raccolta differenziata del tipo a campana e a cestello, oltre a panchine di varia fattura collocate negli anni dalle Amministrazioni che si sono succedute.

Ma chi c’è dietro queste scelte? Una così attenta confusione non può essere dovuta al caso. Una città moderna, che è dotata da oltre dieci anni anche di un consulente per la collocazione degli interventi di arte contemporanea non può aver affidato al gusto di diversi funzionari scelte così importanti. Una città il cui territorio è  gran parte sotto tutela della sovrintendenza e nella quale lavora una commissione edilizia per la disamina dei progetti, fornita persino della presenza di uno scultore, non può aver scelto la confusione quale modello di sviluppo per le scelte di arredo urbano. Allora deve esistere questo occulto “stratega” che fa del caos formale il modello a cui riferirsi, che preferisce alla cultura del progetto la logica della copia in stile, che affida all’approssimazione l’immagine della città per far collimare caos sociale ed eclettismo architettonico in un tutt’uno di decadenza e degrado sociale. Se invece non esistesse alcuno stratega occulto, non esiste alcun progetto, pur perverso e autolesionista, allora avremmo la conferma che la città è giunta allo sbando delle scelte architettoniche e d’immagine. Una città con un fascino straordinario i cui amministratori, insensibili alla bellezza, si ostinano a “vestire” in maniera sciatta ed approssimata. Amministratori che, forse giustamente, lamentano di non avere strumenti per gestire disoccupazione o criminalità ma che, con il loro agire, dimostrano di non esprimere alcuna progettualità.  Incapaci di quei piccoli gesti, di quel coraggio culturale, di cui tanto Napoli necessita. 


WEB AGENCY