Generazioine Negata

E’ molto interessante l’iniziativa del Corriere del Mezzogiorno di esplorare il lavoro degli architetti napoletani degli anni Cinquanta e Sessanta dimenticati.

Il primo numero indaga con sguardo vigile il lavoro dello sconosciuto Luigi Mustica, consentendo di scoprire l’autore di edifici che invece sono noti ed apprezzati. Diego Lama, con passione da archeologo del moderno, ci ha raccontato del lavoro di un professionista che progettava con passione e qualità.

Lentamente si scopre, e probabilmente ciò sarà maggiormente evidenziato nei prossimi numeri, che la costruzione della città degli anni Cinquanta e Sessanta non era solo “mani sulla città” ma territorio per l’esplorazione della qualità architettonica ed urbanistica di quegli anni. Questo lavoro era in gran parte realizzato da architetti ed ingegneri sconosciuti che progettavano con passione, spesso oscurati dai nomi più noti dell’accademia campana. Sarebbe interessante confrontare questo lavoro con quello dei più famosi architetti dell’epoca per mettere a confronto i risultati. Quello che comunque potrebbe venir fuori da questa ricerca è il fermento culturale, e quindi non solo edilizio, di quegli anni. Anni nei quali si progettava per risolvere il grande problema della residenza abitativa post bellica e che solo la latitanza delle istituzioni e delle sue regole hanno consentito che si derivasse verso la più bieca speculazione edilizia.

Solo pochi illuminati ebbero il coraggio di denunciare la collusione fra politica deviata e imprenditoria miope ed ingorda, riuscendo a fermare il processo solo quando oramai la devastazione del territorio era compiuta.
Vennero quindi, gli anni della riflessione e del tentativo di pensare ad un lento sviluppo sostenibile, poi il terremoto del 1980 e la successiva ricostruzione, figlia, ancora una volta, dell’emergenza. Successivamente la città ha cercato di pensare al proprio sviluppo e, dopo un lunghissimo travaglio, si è dotata di un nuovo piano regolatore che, di fatto, impedisce di realizzare architettura ed edilizia di qualità. La generazione di Luigi Mustica è quindi l’ultima che ha avuto la possibilità di costruire edifici nel tessuto urbano, tutte quelle che l’hanno seguita si sono accontentate di realizzare allestimenti e progetti ipogei.
Nessuna architettura contemporanea, a differenza delle grandi città europee, è più possibile. L’attuale strumento urbanistico, figlio del terrore, non consente di sostituire nessun edificio costruito prima del 1943. Il pianificatore ha deciso acriticamente che qualsiasi palazzo costruito prima di questa data non può essere abbattuto quando, anche al meno colto dei cittadini, è noto che edifici brutti e di speculazione venivano edificati anche nel secolo scorso. Non solo. La miopia di questi urbanisti, che hanno fatto della negazione una professione, si è spinta a scrivere delle regole che hanno imposto la ricostruzione in stile in quei pochi vuoti urbani che si sono venuti a creare a seguito dei bombardamenti dell’ultima guerra. Il Corriere del Mezzogiorno ha già ospitato un ampio dibattito sull’anacronistica ricostruzione con murature in tufo e solai in legno per i palazzi di via Imbriani e di via Orsi. Basta andare sul luogo per vedere i cartelli di cantiere che mostrano come saranno ricostruiti i palazzi, completi di stucchi e modanature finto ottocento.
Agli architetti napoletani non resta quindi che emigrare, condannando una città ed una generazione a non raccontare i sogni e le speranze dell’epoca in cui hanno vissuto.

Questo non era mai accaduto. Ogni epoca ha costruito la propria città ed anche quando ha ceduto, come negli anni di Mustica, alla più bieca speculazione, è riuscita a dimostrare con il lavoro di pochi illuminati, che era possibile esprimere qualità. Questi anni invece, grazie alla miopia di pochi, scellerati, pianificatori non lasceranno ai posteri alcun segno, solo la memoria di cumuli di “mondezza” non raccolta.


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