Ecco perchè Napoli non ha più il Palasport

Una volta Napoli aveva, come le grandi capitali europee, un palazzetto dello Sport.

Lo aveva dedicato a Mario Argento, grande campione del pugilato. Era stato costruito assieme alla piscina Scandone per i giochi del Mediterraneo del 1963 e, con ottomila posti, era uno degli impianti più capienti d’Europa. Poi negli anni del rinnovamento bassoliniano la città aveva sognato di rinnovare, con molte altre cose, anche il suo palazzetto. Viene così bandita una gara per titoli per l’affidamento della progettazione vinta da Giovanni Corradetti assieme ad un nutrito gruppo di professionisti. L’architetto fiorentino ha una grande esperienza nella costruzione di palazzetti dello sport e nella copertura di grandi spazi. Per il “Mario Argento” immagina di recuperare le tribune esistenti, opportunamente ampliate, e di realizzare un nuovo, bellissimo, tetto costruito con un innovativo sistema di membrana spaziale. Riorganizza inoltre i servizi, i percorsi, gli spazi accessori realizzando un manufatto moderno, efficiente e adeguato alle nuove esigenze funzionali e di gestione. La copertura, fatta di aste metalliche mutuamente fissate a un nodo sferico tridimensionale, si presenta come il guscio di un enorme granchio che sfiora le tribune esistenti per coprire anche una parte delle nuove tribune esterne. La realizzazione del progetto completerebbe l’offerta ricettiva della città. Nel complesso viene immaginata la possibilità di svolgere, oltre alle attività sportive, anche quelle per concerti ed eventi in modo da rendere economicamente sostenibile la gestione della complessa struttura.

Nel 2000 viene consegnato il progetto pronto per essere messo in gara ma, tra ricerca di fondi e solite pastoie burocratiche, passano oltre tre anni perché venga bandita la prima gara. Che va deserta. Ci si accorge che le risorse messe a disposizione, calcolate con i prezzi del 1990, non sono sufficienti. Inoltre tutti gli esperti rilevano che il prezzo per spettatore, ovvero il costo complessivo stimato diviso il numero di spettatori è meno della metà di quello calcolato per i principali palazzetti europei. Vengono quindi recuperate altre esigue risorse ma anche una seconda gara va deserta. Si giunge così al 2005 quando finalmente fra tre soli concorrenti viene affidato l’appalto che in 850 giorni dovrebbe consegnare il primo stralcio funzionale del “Palargento”. Per risolvere il problema economico l’Amministrazione aveva diviso in due parti l’appalto immaginando di completare, con circa dieci milioni, subito disponibili, il restauro delle tribune esistenti e la copertura e realizzare successivamente, con circa tre milioni, l’ampliamento di parte delle tribune e le sistemazioni esterne. È ovviamente un escamotage, perché anche una massaia sa che avere nuovamente gli operai in “casa” rende impossibile l’utilizzo della stessa oltre a provocare infiniti danni. Probabilmente qualcuno dell’Amministrazione, con quella dannata “creatività” partenopea che ci porta a fare dell’approssimazione uno stile di vita, pensava di recuperare nel corso dei lavori altre risorse per completare l’opera nel suo insieme. Ma quando si gestisce con troppa “creatività” la cosa pubblica può accadere che il diavolo, sotto forma di una nuova normativa antisismica, ci metta la coda: nel 2004 viene adottata una normativa che impone standards più stringenti per la costruzione delle strutture. Ci si accorge così che le tribune, che si immaginava di conservare per contenere i costi, non rispettano la nuova normativa e che quindi va completamente ripensato il progetto. Viene elaborata una variante che porta i costi del Palazzetto a oltre 26 milioni. Laconicamente sul sito del Comune si legge ancora oggi (!) che occorrono ulteriori finanziamenti, oltre quelli disponibili, per € 14.785.034,00. Intanto l’impresa andava avanti con i lavori demolendo tutta la copertura e lasciando il cantiere in una condizione di rudere a cielo aperto. Solo a questo punto l’Amministrazione decide che, non avendo disponibili altre risorse, è il caso di fermare tutto. Il risultato è che, come per i lavori di via Marina, è stato pagato inutilmente un progetto esecutivo e sono stati corrisposti alle imprese mancati utili per oltre settecentomila euro oltre ad avere in corso una causa, sempre con le imprese, per due milioni e mezzo.

Ma una città è un pò come un grande condominio nel quale i condomini scelgono il proprio amministratore. Nelle grandi città inoltre, vista l’oggettiva complessità delle problematiche, spesso si affianca alla politica un “esperto” esterno chiamato city manager. È cosi accaduto che gli amministratori e gli esperti del “condominio” Napoli avevano ravvisato la necessità di sostituire il proprio Palazzetto dello Sport senza verificare l’effettiva entità delle risorse disponibili. Caparbiamente, hanno comunque deciso di andare avanti buttando al vento milioni di euro lasciando la città senza più il Palasport (anzi realizzandone uno provvisorio non a norma per molti degli eventi sportivi di livello internazionale).

Eppure gli amministratori del “condominio Napoli” sono ancora lì forse perché, come nel caso della maggior parte degli edifici, nessuno crede più all’utilità di quelle estenuanti riunioni fatte nell’androne del palazzo. Un pò per pigrizia, insomma, e un po’ per rassegnazione nessuno richiama alle proprie responsabilità gli amministratori dei condomini e delle città, chiedendogli conto dei soldi sprecati e delle scelte sbagliate. Come per il citofono fatto riparare mille volte e che continua a non funzionare, i condomini di Napoli continuano a passare davanti al loro Palazzetto dello Sport ridotto a rudere, imprecano forse un poco, ma alla fine proseguono per la loro strada rinunciando ancora una volta a richiamare alle proprie responsabilità amministratori e city manager. Convincendosi sempre più che, si vada o meno alle riunioni nell’androne del palazzo, il citofono continuerà a non funzionare.


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