Quante brutture "provvisorie" nella città delle amnesie
Il premio Nobel Saramago racconta in uno straordinario romanzo di una nazione nella quale per un misterioso virus tutti diventano ciechi. La storia ha come protagonista la moglie di un oculista (!) che, inspiegabilmente, è l’unica a non perdere la vista. Cecità, questo è il titolo del romanzo, è la metafora di una società che rapidamente perde ogni barlume di civiltà e dell’impossibilità per tutti, ad eccezione di qualcuno, di prendere coscienza della tragedia che si sta vivendo.
Sembrerebbe che a Napoli si sia diffusa una patologia simile solo che, invece di colpire la vista, il virus condanna i cittadini alla perdita della memoria. Due tra i tanti sono i casi sintomatici della perdita di memoria collettiva: nel dicembre del 2006 sul lungomare di via Caracciolo un palo della pubblica illuminazione crolla sulla strada uccidendo una giovanissima mamma, munita di casco, che transitava in quel momento. Grande sconcerto e pubbliche dichiarazioni di immediata soluzione del problema; immediatamente si sostituiscono in tutta la città alcuni pali in procinto di crollare. Ovviamente, visti i tempi ristretti, la sostituzione avviene con i primi elementi disponibili, diversi da quelli già esistenti. Alla cittadinanza è così imposta una campionatura di pali tutti diversi con un effetto, su uno dei lungomari più belli del mondo, di cacofonia formale indegna della peggiore megalopoli sudamericana. Così le autorità affermarono che quanto realizzato in fretta e furia era una soluzione provvisoria, e che in breve tempo si sarebbero sostituiti tutti i pali con un unico modello. Ma ecco il virus che colpisce: sono passati quattro anni e nessuno ricorda la promessa fatta, nessuno si lamenta del drammatico effetto, nessuno ricorda più la morte della giovane donna.
Sempre sullo stesso lungomare, in occasione di una festa delle forze dell’ordine, venivano tagliate le due alte aste portabandiera della Rotonda Diaz. Nell’emergenza dell’evento qualche militare notò che queste aste erano ormai pericolanti e non esitò a troncarle inserendo brutalmente nei monconi dei vecchi pali dei nuovi elementi provvisori, molto più bassi e di diametro inferiore. Anche in quel caso questo giornale rilevò la bruttura e, come sempre, qualcuno dell’amministrazione pubblica dichiarò che l’intervento era provvisorio. A breve sarebbero stati posizionati i nuovi pali rimuovendo la temporanea stonatura. Son passati sei anni e le aste provvisorie per le bandiere sono ancora lì, con il loro cemento che cola sul moncone della vecchia asta. Di nuovo il virus impedisce a chiunque di cogliere la disarmonia e ricordare la promessa fatta. Ma al danno si aggiunge la beffa quando, qualche settimana fa, il Comune approva una delibera di giunta relativa alla possibilità di “sponsorizzare” panchine, aiuole e altri elementi di arredo urbano. Questo consentirebbe di finanziare con risorse private il restauro e la manutenzione del malandato patrimonio “decorativo” della città. Ed ecco l’ennesima promessa: finalmente si è trovato il modo di finanziare gli interventi di manutenzione e riqualificazione del disastrato campionario di design urbano. Ma dopo qualche giorno l’assessore Belfiore, stimato professore universitario prestatosi a fare l’assessore con delega per il Centro Storico, in un incontro con i professionisti ingegneri e architetti dell’ANIAI racconta che per decidere in merito alla pubblica illuminazione nel Comune di Napoli occorre il parere di ben cinque assessori. Belfiore confessa, neanche tanto candidamente, che anche questa promessa, probabilmente, si sarebbe dimostrata vana. Se pure qualcuno riterrà vantaggioso sponsorizzare la manutenzione di uno spazio verde o la collocazione di un nuovo corpo illuminante l’elefantiaca macchina burocratica del Comune di Napoli riuscirà a rendere tanto farraginosa l’operazione che alla fine tutto si risolverà in un nulla di fatto.
Ma d’altro canto il misterioso virus dell’amnesia ha fatto dimenticare ai napoletani anche le promesse fatte per il Palazzetto dello Sport o per il completamento dei lavori di via Coroglio. In entrambi i casi gli assessori competenti avevano garantito tempi certi per la soluzione dei problemi. Per il Palazzetto “Mario Argento” la storia è paradossale: addirittura nel 1999 veniva annunciato in pompa magna che il palazzetto, neanche tanto vecchio, doveva essere sostituito. L’assessore dell’epoca annunciava che entro 850 giorni sarebbero stati completati i lavori. Per consentire lo svolgimento delle attività l’Amministrazione stanzia altri fondi e costruisce una struttura provvisoria che, una volta completati i lavori per il nuovo edificio, sarebbe stata smontata per essere collocata definitivamente in un quartiere delle periferia. Dopo undici anni il Palazzetto è un rudere e la bruttura provvisoria è ormai invecchiata senza che nessuno, dal semplice cittadino alla Corte dei Conti, si sia ricordato delle promesse fatte. Tutto è finito nel dimenticatoio e a nessuno viene in mente di chiedere il rispetto degli impegni presi. Storia simile per l’arteria che collega Bagnoli alla collina di Posillipo. Un piccolo cedimento impone lavori di manutenzione al costone che sovrasta la strada. Il Comune ritiene che questi lavori non spettino alla pubblica amministrazione ed avvia una lunghissima causa con i proprietari del terreno adiacente alla strada. Nelle more procede pensando di realizzare i lavori in danno ai privati ma l’ufficio legale comunale riesce a sbagliare la notifica. Un altro professore prestato alla politica, l’ingegnere Nuzzolo, promette tempi rapidi ma passano gli anni e tutto resta com’era, con i lavori fermi a metà e il transito a senso unico alternato e con i cittadini che ogni giorno riescono a dimenticare le promesse mancate e lo strazio delle file interminabili.